Il cibo dell'uomo
Perché è importante oggi dedicarsi alla cura dell’orto? Perché è importante quantomeno conoscere i principi fondamentali che sottendono alla produzione naturale del nostro cibo? Queste sono alcune delle domande che il recente Corso sull’Orto-bio ha suscitato e a cui ha dato risposta.
Il cibo è il primo farmaco. Lo sosteneva Ippocrate e lo sostiene da tempo immemorabile la scienza della salute dell’Ayurveda. Il cibo riguarda tutte le sfere dell’essere vivente e non sono quella fisiologica. Cibo è psiche; cibo è società; cibo è economia ed ecologia; cibo è spiritualità.
Produrre il proprio cibo è una forma estremamente significativa di reintegrazione della personalità su tutti i piani e, in questo senso, è una pratica altamente yogica. Significa indubbiamente ricontestualizzarsi nel cosmo, con il convergere di tutte le principali forze della natura in un’unica attività, all’interno della quale l’intervento dell’uomo è essenziale ma non principale né tantomeno esclusivo.
Terra, acqua, fuoco, aria ed etere sono i 5 grandi elementi costitutivi dell’universo materiale grossolano e ciascuno di loro svolge un ruolo fondamentale. Il sole e la luna, quelli che nella letteratura puranica sono indicati come gli occhi di Dio, debbono essere osservati con grande cura, perché entrambe svolgono una funzione essenziale. Immediatamente apprendiamo che la nostra vita dipende da un contesto molto più ampio di quello che siamo abitualmente portati a prendere in considerazione. È una banalità, probabilmente, quella che sto affermando, ma è proprio da queste banali verità che l’uomo contemporaneo ha finito per dissociarsi, alienandosi dal cosmo e da se stesso.
Cibo è società. Infatti, nella società decadente che siamo chiamati a testimoniare, e a cui siamo chiamati a rispondere costruttivamente, il cibo è diventato tossico, mezzo di compromissione della salute. Una tossicità, tra l’altro, politicamente e criminalmente perseguita e pilotata, nella massima follia dell’uomo che distrugge se stesso e il proprio simile.
Ma cibo è società anche e soprattutto in senso costruttivo. Nella prospettiva tradizionale Indo-Vedica, il comparto sociale definito dei vaishya (quelli che potremmo chiamare imprenditori, o comunque ‘produttori di ricchezze’) è dedito appunto alla produzione di cibo: ovvero all’agricoltura, ad un allevamento non violento e al commercio di questi prodotti fondamentali per la vita. La società è intesa come un organismo unitario di cui ciascun comparto rappresenta un membro essenziale alla sopravvivenza e alla prosperità dell’insieme. Produrre cibo, significa quindi solidarietà sociale.
Vi è, poi, quel principio di emulazione che è così efficace e presente nelle relazioni e secondo il quale l’esempio virtuoso di uno può influenzare positivamente molti. Oggi è proprio la virtù che è stata messa al bando, barattata con la comodità e la convenienza. Ma questi ultimi sono principi fasulli che non hanno consistenza né durata. Sono principi che conducono alla consunzione dei beni e delle persone, ed è ciò che stiamo testimoniando su tutti i fronti dell’attualità. Virtù è invece farsi carico delle proprie responsabilità, rinunciare a tutori ipocriti e spietati, interessati non al nostro bene ma a un vantaggio meramente egoico. Potrebbe sembrare impegnativo cominciare a pensare in termini di autoproduzione di cibo o anche solo di accorta selezione dello stesso. Ma in realtà questo significa non solo salute ma anche libertà. Gioiosa e contagiosa libertà. La riscoperta di soddisfazioni autentiche, come quella di veder crescere e fruttare una pianta di pomodori o di zucchine, potrà aiutare molti a rivedere le priorità e la scala valoriale, a riscoprire il valore individuale proprio e altrui, potendo così rinunciare alle faticose e ingombranti maschere egoiche e compensatorie.
Dobbiamo d’altronde rispondere costruttivamente al processo di disgregazione in corso, e il ritorno ad un’agricoltura diffusa e autenticamente biologica è componente essenziale della rinascita che ci attende.
Agricoltura biologica è anche ecologia. Infatti, un intero, complesso ecosistema viene ad essere coinvolto, a partire dalla scelta del terreno e del concime. Recarsi nel bosco per poter riempire i propri vasi di una terra ricca dei migliori nutrienti naturali; procurarsi come concime una stallatico di mucca, di cavallo, di gallina; proteggere le proprie piante dall’ingordigia di alcuni insetti con l’uso di prodotti naturali o di altri insetti ‘competitori’; e proteggerle anche dalla golosità di cinghiali, tassi e camosci, non solo recintando il territorio, ma anche condividendo con questi simpatici ma indisciplinati vicini parte della nostra produzione, quella che a noi potrebbe risultare poco gradita ma essere per loro molto appetibile e gratificante.
Cibo è anche, e indiscutibilmente, relazione con il nostro corpo, che di questo mondo è parte integrante e che a questo mondo tende costantemente ad armonizzarsi, nonostante le scelte non raramente scellerate che gli imponiamo con la nostra volontà distorta. Prodotto della natura, questo corpo va nutrito con i prodotti che la natura offre nel corso delle stagioni. Oggi sono in pochi, direi pochissimi, a conoscere la relazione che c’è tra stagioni e prodotti agricoli. Eppure è evidente che il nostro corpo è fatto in modo da necessitare e da avvantaggiarsi dei prodotti che a seconda delle condizioni climatiche la terra ci offre. Inoltre, attenersi alla stagionalità dei prodotti significa anche limitare in maniera significativa l’improvvida ‘necessità’ di forzare chimicamente la produzione agricola, a detrimento della salute non solo del corpo ma dell’intero sistema Terra.
Un cibo ottenuto attraverso un processo di sviluppo della consapevolezza su tutti i piani della vita umana, da quello fisiologico a quello cosmologico, passando per la dimensione economica, ecologica e sociologica, rappresenta una straordinaria offerta che possiamo rivolgere a Dio, per coronare la nostra visione e il nostro agire con la più alta virtù, quella che supera tutti i limiti della materia e ci proietta direttamente nella dimensione spirituale. A quel punto il nostro cibo è pan degli angeli, nutrimento non solo per il corpo e per la psiche, ma anche per l’anima.